Dimmi perché, Maestro,
ora sei diventato così mite
e quando pensi a noi,
studenti della scuola,
parli con commozione?
Dov’è nascosta
la belva ch’era in te?
Dove s’è rintanato quel leone,
aggressivo e imprudente,
resistente alla corsa,
nella sopportazione assai paziente?
Ricordo i viaggi a vuoto
alle stupide stanze del potere
che i tuoi meriti e le tante virtù
non sapeva vedere.
E così c’insegnasti
che il cucchiaio di merda va mangiato,
spesso più di una volta,
se vogliamo ottenere un risultato.
Una pistola carica
pronta a far fuoco,
ma per cambiar la mira
bastava così poco
per chi al fianco ti stava.
E chissà chi era degno
di tanto etico impegno.
Fiducioso seguisti i falsi amici
lungo la via
che portava alla vetta
dell’Itala modesta chirurgia.
Dell’amaro insuccesso
ne desti a me la colpa.
Quanto sdegno e dolore!
sia per me che per te,
forse era naturale
un dubbio così grave,
caro maestro,
dato che il nostro ambiente è intossicato
e pervaso dal male.
Sapessi tu, maestro,
quanto grande fu il male
che ha colpito anche me,
pure se il solco,
da te sempre tracciato,
per coltivare il merito
sia di ricerca che professionale,
dopo te ho seminato.
Tu nella chirurgia
un esteta sei stato.
Sempre nella tua vita
il bell’atto chirurgico,
specie se di un ragazzo,
ti faceva restare affascinato.
E tutto a tutti,
senza timore e senza gelosia,
con gioia generosa,
come i veri maestri,
d’insegnarci hai provato.
Il leone superbo la savana
che fu teatro delle scorrerie
dignitoso ha lasciato.
I colpi della vita,
impietosa,
l’hanno un po’ spelacchiato,
ma se per un momento
i giovani leoni
volgono a lui lo sguardo,
chi con affetto,
chi con invidia e chi con gelosia,
chi con ammirazione,
s’erge orgoglioso sulla rupe antica,
e ruggisce, seppure a basso tono,
per dire: avanti voi se ce la fate!
Io son sereno
perché sono chi sono.
Milano 18-06-2012